Il “deserto metallico” di Francesca Leone
Intervista a Francesca Leone
Con l’intrigante titolo “Zzzz…desert” si terrà, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (GNAMC) dal 27 marzo al 27 maggio 2025, una mostra installativa di Francesca Leone, in cui l’artista rievoca i paesaggi desertici della sua infanzia trascorsi sui set cinematografici accanto al padre. Infatti, il titolo “Zzzz….desert” prende il nome dal “deserto metallico” in cui una musica di sottofondo composta dal musicista Marco Turriziani insieme all’artista, fonde rumori metallici con i suoni della natura, il ronzio dell’ape diventa simbolo di vita attraverso le rose che nascono nel deserto.
Nata da una famiglia di artisti, da circa quindici anni Francesca Leone esplora con il suo lavoro il tema del riuso di materiali recuperati da cantieri dismessi e luoghi abbandonati, in cui la ruggine e il passare del tempo divengono protagonisti sulla superficie delle rocce, mentre il colore delle rose allude ad una rinascita e rigenerazione persino in luoghi aridi e polverosi.
La ruggine, messaggera del tempo, graffia e scalfisce il metallo, mostrando il volto della memoria, mentre il colore accarezza le cicatrici, rivelando storie di lavoro, fatica, sofferenza e riscatto. L’artista invita così a riflettere sull’importanza di avere cura, di non lasciare andare e di dare una seconda vita a ciò che ci circonda, abbracciando diverse sfere, dalla relazione umana alla tutela dell’ambiente.
Nell’installazione, composta da sculture in lamiere di recupero e di rame, le due sculture in rame fanno parte della collezione della Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea, mentre quella verde fa parte della collezione di Intesa Sanpaolo, sponsor della mostra.
Nell’intervista che segue, Francesca Leone espone ad AB REVIEW la sua visione del ruolo dell’arte contemporanea e il senso profondo del suo personale percorso artistico.
In oltre 15 anni di attività artistica lei ha esposto ovunque, da Milano a Roma, da Londra a Madrid, da Mosca a Singapore, da Patna a Cuba e a Santiago del Cile. L’arte, per definizione non ha confini. Ma esiste un luogo che sente più adatto a esprimere la sua arte? E per quale motivo?
È vero, ho esposto in vari musei in tutto il mondo, luoghi prestigiosi e di grande profilo internazionale, ma il prossimo progetto che si vedrà esposto alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea di Roma, mi emoziona e mi rende particolarmente orgogliosa perché Roma è la mia città e la GNAMC è un luogo che sento particolarmente vicino dal punto di vista artistico. Esporre qui è per me un onore e un ritorno a casa, in un dialogo con artisti che hanno segnato il mio percorso e la mia visione ed è il raggiungimento di un obiettivo veramente importante.
Lei usa tecniche diversissime tra loro, ma le installazioni sembrano da tempo prevalere sulle altre forme espressive. Una tendenza irreversibile?
Non parlerei tanto di tecniche diverse, quanto di un'evoluzione naturale del mio percorso artistico. Ho iniziato come pittrice, ma nel tempo la mia ricerca mi ha spinto ad esplorare nuovi materiali e forme espressive. Il recupero e la rielaborazione di materiali di scarto sono diventati elementi centrali del mio lavoro, permettendomi di creare installazioni immersive in cui il visitatore non è solo spettatore, ma parte integrante dell'opera.
Sono molti i riferimenti che sembra di poter cogliere nelle sue opere, Jackson Pollock, Anselm Kiefer, Mark Rotchko solo per citarne alcuni. Ci si riconosce o è un’illusione ottica?
I nomi citati appartengono a grandissimi artisti che hanno segnato profondamente l'arte della seconda metà del '900 ed è naturale che il loro lavoro abbia influenzato molte generazioni, me compresa. Tuttavia, le mie ispirazioni sono molteplici e spaziano oltre questi riferimenti. Credo che ogni artista, nel confrontarsi con la storia dell'arte, assorba inevitabilmente suggestioni, ma ciò che conta davvero è riuscire a sviluppare un linguaggio personale e riconoscibile. Nel mio caso, penso di aver trovato la mia cifra stilistica attraverso il recupero di oggetti in disuso e la loro trasformazione in opere d’arte.
Mostre installative con accompagnamento in musica: un nice to have o un’esigenza espressiva?
In ogni mia mostra nulla è lasciato al caso: ogni dettaglio viene studiato e affinato per mesi con la massima cura. Si può quindi immaginare quanta attenzione abbia dedicato a un progetto espositivo così significativo per me come quello alla GNAMC, che rappresenta il raggiungimento di un traguardo importante. La musica non è un semplice accompagnamento, ma una componente essenziale dell'esperienza installativa. Il titolo stesso della mostra, “Zzz…Desert” si ispira ad un “deserto metallico” in cui la musica, che ho composto insieme al musicista Marco Turriziani, fonde rumori metallici con i suoni della natura. L'installazione si compone di una decina di sculture che richiamano le rocce del deserto e di tre rose, ricreando un paesaggio arido e surreale. Questo scenario trae ispirazione dai deserti della mia infanzia, vissuta sui set cinematografici accanto a mio padre, e invita il visitatore a immergersi in un'esperienza sensoriale dove suono, materia e memoria si intrecciano.
L’inesorabilità del passare del tempo, la corruzione della materia, la violenza dell’uomo sulla natura sono messaggi con un sapore pessimistico. Dove emerge la visione ottimistica nelle sue opere?
Non parlerei di pessimismo, ma di realismo consapevole. Viviamo in un’epoca in cui il cambiamento climatico è tangibile, l’inquinamento rende l’aria irrespirabile e ci fa ammalare, le api stanno morendo a causa dei pesticidi. Allo stesso tempo, nelle mie opere esiste sempre un elemento di speranza. Le rose che fioriscono nel deserto, il ronzio dell'ape che resiste nonostante tutto, sono simboli di resilienza e rinascita. La natura ha una straordinaria capacità di rigenerarsi, e questo è il messaggio ottimista che cerco di trasmettere: la possibilità di un futuro migliore dipende anche dalle nostre scelte e dalla nostra volontà di prendercene cura.
Quale considera la sua opera più significativa?
Come artista, sono sempre in evoluzione e in continua ricerca. Per questo motivo, la mia opera più significativa è sempre quella che deve ancora nascere.
Nell’era dell’infinita riproducibilità delle immagini, quanto pesa la sua scelta di un’arte fortemente materializzata?
Per me non si tratta di una scelta, ma di un'esigenza espressiva profonda. La mia arte nasce dal rapporto diretto con la materia, dalla trasformazione degli oggetti, dalla loro fisicità. Non c'è alcuna strategia dietro questa direzione, ma una convinzione autentica: non posso immaginare un altro modo di creare.
Cosa pensa dell’arte virtuale, come gli NFT: arte sostanziale o banalizzazione speculativa?
Appartengo a un'altra generazione e il mondo dell'arte virtuale, come gli NFT, non fa parte del mio linguaggio espressivo. È un ambito che osservo con curiosità, ma che non sento vicino al mio modo di creare. Credo che ogni epoca trovi i suoi mezzi e le sue forme d'arte, e sarà il tempo a determinare il valore reale di queste nuove espressioni. Personalmente, resto legata alla fisicità della materia e al rapporto diretto con lo spazio e il pubblico.
In quale direzione pensa di far evolvere la sua espressività artistica in futuro?
Continuerò sicuramente a esplorare il linguaggio delle installazioni, dalle quali sono molto attratta, anche se la loro realizzazione, naturalmente, dipende anche dagli spazi espositivi e dalle opportunità che si presentano, ma rimangono il fulcro della mia ricerca artistica. Inoltre, sto lavorando da tempo a un progetto a cui tengo particolarmente e che rappresenta per me una nuova sfida. È ancora presto per parlarne nel dettaglio, ma spero di poterlo realizzare presto e condividerlo.