Negli ultimi due decenni il sistema internazionale e i mercati finanziari hanno subito profondi cambiamenti. Da un contesto globalizzato a chiara guida statunitense, nel quale la Cina costituiva una grande promessa in termini di sviluppo e potenziali clienti e la Russia il partner energetico ottimale per bilanciare il potere di ricatto dei produttori mediorientali, si è passati a uno scenario connotato da scarsi cenni di certezza.

Pechino, con il suo modello di business sostenuto dal Partito Comunista Cinese, suscita ormai da tempo sentimenti ambivalenti, alimentando il timore che le partnership con il gigante asiatico, seppur inevitabili, evolvano in ipotetiche forme di strangolamento finanziario dagli effetti evidentemente nefasti. Quanto alla Russia, benché in apparenza oggetto di profonde sanzioni economiche, come sistema politico sta dando filo da torcere a Stati Uniti ed Europa. Mosca, infatti, non solo difende con vigore un modello di organizzazione sociale nel quale il ruolo dello Stato sfida i paradigmi dominanti ma, a discapito dei costi, sta anche mirando a territori cruciali per l’accesso alle vie marittime e per il controllo di alcune materie prime strategiche.

In un quadro così descritto le tensioni tra forze politiche divergenti si stanno riverberando sulla supply chain, in special modo sui prezzi delle materie prime e delle fonti energetiche. I riferimenti alla geopolitica sono diventati frequenti e, insieme a loro, la tendenza a istituire un nesso tra tale disciplina e il mondo dell’impresa. Se tra geopolitica e business esiste una relazione sia effettivamente pertinente, tuttavia, va ancora stabilito. A imprenditori e amministratori, insomma, serve realmente la geopolitica? Soprattutto, includerla nella gestione d’impresa, potrebbe in qualche modo contribuire a creare valore per i loro business?